Riflessioni…..
I beni danno al cuore umano il miraggio della sicurezza e dell’assenza di affanni, ma in verità sono proprio la causa prima degli affanni. Il cuore che si attacca ai beni riceve insieme ad essi il peso soffocante dell’affanno. L’affanno si procura i tesori, e a loro volta i tesori procurano affanno. Vogliamo garantire la nostra vita per mezzo dei beni, vogliamo liberarci dall’affanno per mezzo dell’affanno, ma in realtà ne risulta il contrario. Le catene, che vincolano ai beni, sono per se stesse un affanno.
D. Bonhoeffer
Il denaro è un padrone esigente che schiavizza poco a poco ogni uomo. Cercato all’inizio come semplice strumento di scambio, finisce per acquisire un valore in se stesso e diventa un fine. Assume la forma di assoluto, diventa un idolo. E come idolo, aliena l’uomo e lo separa sempre più dai suoi fratelli. Crea privilegiati e diseredati, crea interessi, rivalità, lotte, guerre internazionali.
C. Delmonte
Il Vangelo di questa domenica ci insegna ad avere una fiducia illimitata nella Divina Provvidenza. Parlando alle folle, Gesù afferma solennemente: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24). I due padroni che si contendono l’uomo sono Dio e la ricchezza. La ricchezza seduce l’uomo per farne uno schiavo, Dio lo attira per fare di lui un figlio libero. La scelta dell’uomo è dunque tra un bene effimero e ingannevole e il Bene sommo e necessario, tra la schiavitù e la libertà dei figli di Dio.
Dopo l’iniziale affermazione, il discorso di Gesù si fa pressante, inesorabile, per fugare dall’uomo uno dei mali che è di tutti i tempi e che sembra caratterizzare in modo particolare il mondo in cui viviamo oggi. Questo male è la preoccupazione, l’ansia, l’assillo, l’affanno che invadono l’uomo di fronte al bisogno quotidiano e all’incertezza del futuro. L’angosciosa preoccupazione per i beni della terra è contraria alla fede nell’amore premuroso e provvido del Padre Celeste.
Per descrivere la premura più che materna della Divina Provvidenza, Gesù si serve di paragoni molto belli desunti dal creato, paragoni che erano certamente molto familiari agli ascoltatori del Maestro che, per lo più, erano pastori e contadini. Egli parla dei gigli del campo e degli uccelli del cielo ed invita a considerare come il Padre Celeste si prende cura di loro: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro Celeste li nutre» (Mt 6,26). E, subito dopo, afferma: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28-29).
Gesù, dunque, ci esorta a non preoccuparci: noi valiamo molto più degli uccelli del cielo e dei gigli del campo. Se Dio ci ha dato il bene preziosissimo della vita, che costituisce il più, perché non dovrebbe o non potrebbe provvedere a ciò che serve al nostro sostentamento, che è il meno? Come fare per sperimentare questa Provvidenza? Gesù ce lo dice chiaramente: «Cercate […], anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33).